È stato fatto un significativo passo in avanti nella scoperta dei meccanismi alla base della psoriasi, malattia cronica della pelle che viene spesso confusa con la dermatite seborroica.
Un gruppo di ricercatori italiani ha identificato nel peptide LL37, proteina sovra-espressa nelle persone affette da psoriasi, uno dei principali promotori della patologia.Il peptide LL37 è normalmente presente in tutte le persone, seppur in quantità inferiore, e aiuta l’organismo a proteggersi dalle infezioni.
Come evidenziato dal Prof. Antonio Costanzo della Università Sapienza di Roma, che ha guidato lo studio sul fronte della dermatologia clinica e della ricerca traslazionale, la novità “consiste nell’osservazione che nelle persone con psoriasi i linfociti T – cellule che giocano una parte centrale nell’immunità cellulo-mediata – non riconoscono questo peptide come un agente antimicrobico, ma come un antigene, dunque un agente da combattere, attivando una corrispondente risposta immunitaria.”
Questa reazione si esprime con manifestazioni cutanee, nello specifico le placce tipiche della psoriasi, ma anche a livello sistemico. Il risultato è stato ottenuto grazie all’analisi di cellule umane provenienti da pazienti con psoriasi di grado severo e attraverso prelievo cellulare dalle placche psoriasiche. “In particolare”, prosegue l’esperto, “nel 70-75% dei pazienti, un consistente numero di linfociti T riconosceva il peptide come antigene, e non come agente antimicrobico. Inoltre, quanto più severa era la malattia tanto maggiore è risultato il numero di linfociti T che si sono attivati in tal senso. Da un’altra analisi, poi, si è osservato che il peptide LL37 lega complessi maggiori di istocompatibilità molto frequenti nella psoriasi, come l’HLA-Cw6”. Il meccanismo identificato dal team di ricerca promuove la patologia e la sua progressione, favorendo la proliferazione di cellule T psoriasiche.
Il risultato apre importanti prospettive sul fronte della lotta alla psoriasi. Come sottolineato dallo stesso Professor Costanzo, infatti, lo studio potrebbe fornire conoscenze utli per lo sviluppo di strategie terapeutiche finalizzate non al trattamento ma alla prevenzione della malattia o della riacutizzazione della stessa.
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